Dille che sei un cameriere senza alcun talento. Spiegale con poche scialbe parole chi sei veramente. Non hai un soldo, non hai un bel corpo, sei irrimediabilmente brutto. Le tue assurde teorie fanno ridere i polli, anche i polli fritti, anche i polli in mostra nelle vetrine dei takeaway cinesi e tailandesi. Ricordale che al mondo esistono tanti idioti come te. Lo sa già. Lei sicuramente li riconosce al primo colpo. E li evita. Scarta le merdine e punta solo i migliori. Lei annusa i fenomeni. Dall'imbianchino paragonato a Picasso, all'imprenditore che produce ricchezza e testosterone nella City, al chitarrista che sa usare le dita come pochi, quel capellone ribelle che la faceva godere con le note, le parole in musica e il cazzo dritto e forte per gli applausi della sera passata, quel genio sporco che da sempre conquista a destra e a manca. Prima di vederla abbandonare la tua vita per l'eternità senza averci mai messo piede, ingurgita quel che è rimasto della birra scura e sbatti il bicchiere vuoto sul tavolo con decisione da ubriaco. Per lei s'è fatto tardi, il locale puzza, in bagno è un disastro di piscio e vomito. I suoi zigomi sono due mezze mele rosse, le danno un aspetto da donna che le ha prese ma che in compenso s'è vestita benissimo. Con quel viso rotondo incorniciato fra i capelli rossicci, quasi uno stanco tramonto, riusciva a far innamorare bellimbusti d'ogni risma; grazie alla natura smorta del suo sguardo ne attirava a dozzine e l'espressione di godimento monocorde al limite dello snobismo le garantiva la tessera da puttana perfetta per un certo tipo di middle class, con visite nei bassifondi commerciali dei barboni-artisti, i pagliacci che bramano soldi e successo credendosi chissà chi. Sinceramente, una come lei preferisce tornare a casa dall'orsacchiotto che ha sul letto, il peluche che ha assistito a solitari vaginali e a cavalcate e ad ammucchiate da post-sbronza, piuttosto che passare un altro minuto con te. L'orsetto. L'orsetto senza più gli occhioni tristi che si portava dietro fin dall'infanzia. Un tempo riusciva a piangere e per consolarsi ci parlava e lo stringeva a sé, al petto che adesso iniziava a inflaccidirsi, famoso in tutto l'Essex per la sua disponibilità "in cambio di". Oggi niente più lacrime. Il phard si era imposto come vincitore assoluto sul viso, solo allo sperma veniva lasciata assoluta libertà di transito. E poi, piangere non la faceva salire sulle Porsche dei riccastri con cui iniziò ad uscire a sedici anni. Piangere spaventava i bellocci con la macchina scassata e le palle gonfie, quelli che si scopava al mare nelle domeniche di fine estate, dopo un'estate, of course, passata a scopare in attesa di scopare non appena fosse finita l'estate. Pochi spicci, ma centimetri in abbondanza proprio dove servono. Il juke-box è a quindici passi da te. Devi solo superare una piccola folla di gioiosi fascistoidi con la passione per il metal e la cocaina che se la spassano lungo il bancone. Toccano il culo alle vacche di compagnia, latrati e rutti; dopo, forse, kebab e orgia con anfetamine. La chiamano "poesia". Non te la senti di arrivare fino al juke-box. Uscita laterale. Meglio così. Il vecchio con la dentiera instabile ha lo stesso sguardo indiavolato e inebetito a un tempo; sbuffa contro la moglie infiocchettata di rosso, le calze rosse, la gonna corta di pannetto pesante, maledettamente rossa. E le scarpe bianche col tacco enorme, quell'inevitabile elemento di rovina che non dà scampo a nessuno, neppure a chi non ha mai avuto speranze. Cigola il legno sotto le suole consumate. Sai che c’è? Io me ne vado a morire da qualche altra parte.